QUANDO GLI ALGORITMI NON DOVREBBERO SEGUIRE LA MATEMATICA

13 Dic 2018 | Commercio

Esiste ormai da tempo una prassi che porta davanti ai nostri occhi cascate di pubblicità vicine ai nostri interessi. Basta effettuare una ricerca e già il secondo successivo ci ritroviamo l’oggetto ricercato in ogni angolo visivo del prossimo sito visitato. Alcuni vociferano (ed ora pare che non sia solo una voce) che basterebbe parlare vicino ai nostri Smartphone per essere ascoltati e ricevere pubblicità su ciò di cui poco prima stavamo parlando. Questo meccanismo di algoritmi è utile, alle volte, tediante altre. Pensate al momento in cui qualcuno usa il vostro Pc, tablet o telefono ed effettua una ricerca per esempio sui cani.

Dal secondo successivo vi ritroverete offerte su ciotole, biscotti per cani, cucce, tolette e per fino viaggi dove poter portare il vostro amico fidato. Il vostro, però, in quel caso non è vostro. Questo tutto sommato è un disturbo di poco conto, ma ci sono delle volte in cui gli algoritmi non dovrebbero seguire la matematica per non intervenire su argomenti che possano provocare sensazioni negative, alle volte devastanti sul lettore. È successo a Gillian Brockell, video editor del Washington Post, che dopo aver perso il suo bambino ha continuato ad essere bombardata di pubblicità premaman.

La giornalista ha deciso di mandare una lettera aperta ai social network per spegnere quello che è diventato un vero supplizio, una terribile tortura. Ci sono dei momenti in cui il marketing dovrebbe fermarsi, certo un algoritmo non può sapere da sé quando non è più il caso di lanciare un determinato tipo di contenuto, ma i consumatori dovrebbero avere la facoltà di scegliere cosa vedere e cosa tenere nascosto. Troppe volte i consumatori sono resi impotenti ed indifesi di fronte ai bombardamenti del glaciale algoritmo matematico.